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La rivincita della Curia nella finanza In bilico anche il presidente dello Ior

By Massimo Franco
Corriere della Sera
July 31, 2017

http://www.corriere.it/cronache/17_luglio_29/rivincita-curia-finanza-ior-fef1d1dc-73d6-11e7-a3f5-e19bfc737a80.shtml

La sede dello Ior

S i va delineando un Vaticano ad interim nelle sue strutture economiche. L’uscita di scena in rapida successione del supervisore generale Libero Milone e del superministro delle Finanze, il cardinale George Pell, ha portato alla nomina di personaggi di transizione. E entro l’estate potrebbe essere sostituito anche Jean-Baptiste de Franssu, presidente dello Ior, la cosiddetta «banca del Vaticano». Nominato nel luglio del 2014, il francese de Franssu da tempo si sente esautorato. Avverte una freddezza crescente nei suoi confronti dopo la controversa nomina a direttore generale di Gianfranco Mammì, avvenuta alla fine del 2015: una scelta personale di papa Francesco, che si presentò nella sede dello Ior e disse che l’incarico sarebbe toccato a Mammì. Ormai, de Frannsu va a Roma soltanto un paio di giorni a settimana. E chi gli ha parlato lo ha trovato perplesso sul suo ruolo e incerto sul da farsi: anche se in Vaticano danno per probabile le sue dimissioni al massimo entro l’anno. Da tempo è nel mirino di chi, in Curia, tende a vederlo come un ingombro; e come terzo vertice di quel «triangolo magico» di cui facevano parte Pell e Milone. Ma non si tratta di semplici avvicendamenti. Gli interim sono la premessa per una revisione totale delle gerarchie di potere all’interno delle Sacre Mura. Di fatto, si delinea un ridimensionamento secco della Prefettura degli affari economici di Pell come motore delle riforme economiche; e un ritorno a quella che viene chiamata «normalità», con la Segreteria di Stato candidata a riconquistare un ruolo di regia: sebbene anche al suo stesso interno si avvertano tensioni .

«È la fine del triennio del Motu proprio»

«È la fine del triennio del Motu proprio» , spiega un cardinale: quello iniziatosi il 24 febbraio del 2014, con la nomina di Pell a Segretario per l’Economia. Quel provvedimento legittimava il primato del cardinale australiano, oggi tornato nel proprio Paese per difendersi in un processo per abusi sessuali. Gli dava carta bianca per usare il pugno duro contro i gangli economici più potenti dei dicasteri della Santa Sede. E segnalava il tentativo ambizioso di innestare sulle vecchie strutture una serie di controlli affidati a consulenti e società esterne, per mettere ordine in un sistema che si riteneva obsoleto e malfunzionante. L’operazione è stata avviata, però, sovrapponendo i nuovi arrivati alla nomenklatura ecclesiastica e laica preesistente; e dunque creando frizioni e resistenze che alla fine hanno portato a conflitti di competenze, veleni, e a un blocco di fatto delle comunicazioni.

Convincere papa Francesco

Adesso si assiste alla crisi di rigetto del nuovo modello. Il tentativo è di convincere papa Francesco che quanto è stato fatto negli ultimi tre anni non ha prodotto risultati, e dunque va archiviato; e che il suo «Motu proprio» del 2014 risentiva troppo degli umori di un Conclave, quello del 2013, venato di pregiudizi nei confronti del Vaticano «italiano» e della sua «romanità», associata a intrighi e corruzione. C’è chi parla di ritorno alla ragionevolezza e chi di restaurazione. È difficile capire dove finisca l’una e dove cominci l’altra. Si intuisce soltanto che nell’affanno di questa fase del Papato, è riemersa con forza quella corrente vaticana che ha lavorato in questi anni per la continuità; e che adesso sente di avere convinto Francesco a ripensare il suo atteggiamento iniziale. In realtà, il nuovo equilibrio si è rotto prima ancora di consolidarsi. Ma il vecchio al massimo sopravvive, senza poterlo sostituire: in qualche modo è finito anche quello.

Il cardinale Pell

Certamente, però, misura le implicazioni della sconfitta di personaggi alla Pell e di quello che rappresentavano. Ormai si dice esplicitamente, seppure protetti dall’anonimato: «Speriamo che il cardinale Pell non torni più qui in Vaticano. Crediamo che sia innocente», spiega uno dei prelato più influenti a contato con il Papa, «ma come prefetto all’Economia è stato un disastro. Correggeremo lo statuto per quanto riguarda la gestione e i controlli. Riporteremo le cose alla normalità. E il suo Segretariato sarà ridimensionato. Bastano cinque, sei persone, non una struttura elefantiaca e superpagata come quella che aveva messo in piedi». A suggello di questo epitaffio ecclesiastico, si fa notare che le riforme economiche volute dal Papa ora marciano spedite: impressione confermata dall’intervista rilasciata qualche giorno fa a Avvenire, quotidiano della Cei, da monsignor Luigi Mistò, «coordinatore ad interim» del dicastero di Pell. «La riforma economico-finanziaria voluta, impostata e sostenuta da papa Francesco, nel più ampio quadro della riforma della Curia romana», ha spiegato monsignor Mistò, «in corso con il supporto della Segreteria di Stato, ha già ottenuto importanti risultati...».

Sforzo per diplomatizzare

È uno sforzo per diplomatizzare il cambio di fase e il fallimento delle riforme appaltate all’esterno. Ma si prende atto, senza volerlo, che si chiude la stagione del Papato, segnata dalla volontà di marcare una cesura con il passato e instaurando un nuovo metodo: perfino evitando di nominare italiani nelle istituzioni finanziarie della Santa Sede. Eppure, uno dei mandati più forti che Jorge Mario Bergoglio aveva ricevuto dal Conclave era stato proprio quello di incidere in profondità su una realtà romana guardata con profonda diffidenza: se non altro per avere portato alle dimissioni di Benedetto XVI. Il bilancio di questa operazione è magro. Il «Motu proprio» del 2014 rimane incorniciato come il tentativo generoso di rivoluzionare un sistema che rischia di apparire non riformabile: nemmeno con una terapia d’urto come quella di Francesco.

 




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